Notule

 

 

(A cura di LORENZO L. BORGIA & ROBERTO COLONNA)

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XVI – 02 novembre 2019.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: BREVI INFORMAZIONI]

 

Come il fumo di sigaretta aumenta il rischio di diabete di tipo 2. Il fumo di sigaretta aumenta straordinariamente il rischio di sviluppare il diabete di tipo 2, ma i meccanismi molecolari finora non erano stati compresi. Paul Kenny e colleghi hanno accertato che il fattore di trascrizione TCF7L2 media un circuito di segnalazione che connette i neuroni cerebrali attivati dalla nicotina alla regolazione del glucosio ematico da parte del pancreas. I ricercatori hanno rilevato e dimostrato che, quando la nicotina attiva le proteine del recettore nicotinico dell’acetilcolina (nAChR) espresse sulla membrana dei neuroni dell’abenula mediale, si determina una risposta avversa alla nicotina che ne limita l’assunzione e riduce il rilascio di glucagone e insulina da parte del pancreas.

In tal modo, si determina un innalzamento del livello di glucosio, accrescendo il rischio di sviluppare diabete. Inoltre, gli accresciuti livelli di glucosio creano un ciclo a feedback, inibendo i recettori nACh espressi dai neuroni dell’abenula mediale, così bloccando le risposte avverse al fumo e facilitando lo stabilirsi della dipendenza. TCF7L2 modula l’intero circuito di segnalazione, in tal modo associando la dipendenza da nicotina al rischio di diabete. [Cfr. Nature 574 (7778) 17 Oct., 2019].

 

Epilessia e ipertensione: un possibile legame causale per la morte improvvisa epilettica. La morte improvvisa e inattesa (SUDEP, sudden unexpected death in epilepsy) costituisce il 17% delle cause di morte dei circa 50 milioni di pazienti diagnosticati in tutto il mondo di disturbi epilettici. Szczurkowska e colleghi hanno identificato in una interazione fra sistema renina-angiotensina (RAS) e sistema simpatico, entrambi implicati nella fisiopatologia dell’ipertensione, una causa plausibile di SUDEP nei pazienti affetti da disturbi comiziali [Szczurkowska P J., et al., Cardiol J. AOP – doi: 10.5603/CJ.a2019.0095, 2019].

 

La resistenza del cervello all’insulina come marker del declino cognitivo. Spinelli, Fusco e Grasso dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e della Fondazione Agostino Gemelli, prendendo le mosse dalla recente scoperta di aree del cervello diverse dall’ipotalamo che esprimono recettori per ormoni rilevanti per il metabolismo, fanno il punto delle conoscenze che legano la cognizione alle risposte cerebrali all’insulina. Infatti, la segnalazione indotta dall’insulina impatta le cascate molecolari sottostanti plasticità ippocampale, apprendimento e memoria. La rassegna dei tre studiosi italiani sintetizza le evidenze molecolari che legano l’alterazione della sensibilità all’insulina dell’ippocampo con cambiamenti nella neurogenesi del cervello adulto e nella plasticità sinaptica. Sofferma poi l’attenzione su un ruolo critico della resistenza cerebrale all’insulina fra malattie metaboliche e neurodegenerative. Infine, Spinelli e colleghi evidenziano come biomarker della resistenza encefalica all’insulina, quali vescicole di origine cerebrale e metabolismo neuronico del glucosio, possono predire l’istaurarsi e/o il peggiorare del declino cognitivo. [Spinelli M., et al. Front Neurosci 13: 788 eCollection 2019].

 

Approvata la Bremelanotide per il trattamento di un deficit di desiderio sessuale che innesca problemi intrapsichici e relazionali. La Bremelanotide (VyleesiTM), un peptide sintetico analogo dell’α-MSH che agisce da agonista con alta affinità per il recettore di tipo 4 implicato nella modulazione di vie cerebrali attive nella risposta sessuale, è stato approvato dall’FDA nell’indicazione del disturbo pre-menopausale da riduzione del desiderio sessuale (hypoactive sexual desire disorder, HSDD), con via di somministrazione sottocutanea. Il disturbo, che genera circoli viziosi psicologici e sintomatologici, presenta spesso difficoltà nel trattamento psicoterapeutico perché è spesso avvertito dalla donna come una perdita funzionale non dipendente dalla propria vita psichica e indicatrice di invecchiamento e patologia. [Dhillon S. & Keam S. J., Drugs 79 (14): 1599-1606, 2019].

 

Come studiare la depressione in chiave neurobiologica per ottenere i risultati sperati. Si stima che oltre 300.000.000 di persone nel modo soffre di depressione e le terapie farmacologiche, “se pure efficaci in una certa percentuale di casi, quale innesco e supporto di un cambiamento funzionale del cervello indotto prevalentemente da evocazioni derivate da mutamenti esistenziali” (G. Perrella), rimangono ancora molto insoddisfacenti. Oltre al miglioramento della concezione e della pratica psicoterapeutica in questo campo, si spera in un aiuto che intervenga su aspetti fondamentali dei cambiamenti patologici neurobiologici e neurochimici che si stabiliscono nel cervello di coloro che sono depressi, non limitandosi ad accrescere il tasso di serotonina disponibile, ma analizzando e interpretando le decine di nuove acquisizioni che dovrebbero portare a cure migliori. Le critiche crescenti ai modelli murini impiegati nella ricerca e l’insoddisfazione di psichiatri e pazienti ha motivato uno studio di rassegna e analisi condotto da Gururajan e colleghi che, prendendo le mosse dall’esame della “miriade di approcci preclinici per modellare e saggiare aspetti della depressione”, proseguono sottolineando l’imprescindibilità delle differenze sessuali, marcate nella nostra specie da una diversa sensibilità ai farmaci antidepressivi, e discutono la controversa idea della trasmissibilità intergenerazionale e transgenerazionale dei tratti depressivi. Gururajan e colleghi, sulla base delle più recenti scoperte, suggeriscono nuove vie e nuovi modi di studio, per il cui dettaglio tecnico si rinvia al testo integrale della rassegna [Gururajan A., et al., The future of rodent models in depression research. Nature Reviews Neuroscience – AOP doi: 10.1038/s41583-019-0221-6, 2019].

 

L’esposizione alla luce di computer, telefonini e simili può accelerare l’invecchiamento. La deduzione deriva dai risultati di uno studio che ha rilevato in Drosophila melanogaster danni alle cellule della retina e del cervello (ganglio cefalico dell’insetto) e ridotta sopravvivenza, per esposizione protratta alla luce di lunghezza d’onda corrispondente al blu, come quella dei nostri dispositivi elettronici di uso quotidiano. Era già noto che l’esposizione protratta alle frequenze di questo tipo di luce artificiale, soprattutto nelle ore serali, può alterare nell’uomo i ritmi sonno-veglia, causando insonnia. Jaga Giebultowicz e colleghi hanno rilevato la drammatica riduzione della durata della vita degli insetti indotto dalla luce artificiale, associata a degenerazione dei neuroni cerebrali e alterazione di un pattern di espressione genica. A nostro avviso, l’effetto degenerativo con accelerazione dell’invecchiamento nei mammiferi, e in particolare nell’uomo, deve essere specificamente provato. [Fonte: Oregon State University, on Science Daily 17 October, 2019].

 

Giudizi associati alle dimensioni del seno femminile in rapporto a stereotipi sociali e preferenze maschili. L’ampio spettro naturale nelle dimensioni del seno femminile influenza la percezione della donna nella realtà sociale, per effetto di stereotipi culturali, bias psicologiche e preferenze maschili più o meno consapevolmente indotte dall’attrattività sessuale. La teoria evoluzionistica della selezione sessuale prevede che i criteri fisici adottati per la selezione del partner siano indici di valori riproduttivi e vitali in senso biologico; tuttavia, osservano Koscinski e colleghi delle facoltà di medicina e biologia dell’Università di Varsavia, pochi studi hanno cercato di stabilire nel contesto umano se veramente le dimensioni del seno segnalano una qualità biologica o elementi che la costituiscono, e se gli osservatori realmente interpretano questi segnali. Per tale ragione, il team polacco ha condotto due studi.

Il primo, che ha reclutato 165 ragazze, aveva lo scopo di stabilire reali correlati per le dimensioni del seno femminile. Lo scopo del secondo studio consisteva nel determinare preferenze e stereotipi correlati alle dimensioni del seno: 252 donne e 265 uomini sono stati reclutati per giudicare, in fotografie digitali, delle figure femminili caratterizzate, tra l’altro, dalle differenti dimensioni delle mammelle. Le dimensioni dei seni sono state stabilite sottraendo la circonferenza toracica alla circonferenza passante per i massimi diametri delle due mammelle. Tale misura era negativamente associata all’asimmetria corporea e positivamente associata con infezioni dell’apparato respiratorio, ma non presentava correlazioni con infezioni dell’apparato digerente, con i livelli di testosterone ed estradiolo, e, soprattutto, con la presunta propensione a contrarre rapporti sessuali occasionali. Interessante notare che i giudizi degli uomini, che si presumevano influenzati da criteri consapevolmente o inconsapevolmente legati al potere di attrazione erotica, coincidevano perfettamente con quelli delle donne, che si presumevano più neutri e ispirati ai canoni estetici acquisiti culturalmente.

Uomini e donne giudicavano così: più grandi erano i seni, maggiore capacità riproduttiva (fertilità), maggiore efficienza nella produzione del latte per i poppanti, maggiore desiderio sessuale e libertà nei costumi sessuali attribuivano alle donne viste in fotografia. Tuttavia, il seno di grande volume non era giudicato mediamente più attraente di quello di dimensioni normali, mentre i seni molto piccoli erano da tutti considerati poco attraenti. Inoltre, le donne con seni grandi erano percepite come meno fedeli e meno intelligenti delle donne con seni di dimensioni medie o piccole. Koscinski e colleghi hanno discusso i risultati secondo la psicologia evoluzionistica, le tendenze percettive e gli stereotipi sociali.

La significatività legata alle dimensioni del campione ci ha imposto di riferire su questo studio, ma il nostro giudizio è estremamente severo, così come lo è per tutta la ricerca di questo genere. Il costituirsi delle neuroscienze quale “casa comune” per tutte le discipline che studiano cervello e mente, dalle basi molecolari alla psicopatologia, ha abolito le barriere tradizionali che potevano consentire a branche della ricerca psicologica di considerarsi totalmente indipendenti e finanziare decine di studi come questo che, oltre a tutte le ore di lavoro dei ricercatori e i costi ordinari, aggiunge il compenso per centinaia di volontari; tutto ciò per sapere che un seno ben evidente attrae più di uno inapparente e che esistono preconcetti e pregiudizi sulle donne procaci. Non si può fare a meno di pensare a quante indagini su pressanti problemi neuropatologici sono state interrotte per mancanza di finanziamenti e quanti progetti di ricerca, inclusi i nostri, per lo stesso motivo sono rimasti solo sulla carta. [Cfr. Koscinski K., et al., Arch Sex Behav. AOP – doi: 10.1007/s10508-019-1464-z, 2019].

 

Notule

BM&L-02 novembre 2019

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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